sabato 5 marzo 2011

DIRETTAMENTE DAL LIBRO MUSE EROTIKE, IL TESTO DI MARIO ANDREOLI

Pensando alla fotografia di nudo, o più generalmente erotica, siamo necessariamente portati a confrontarci con le nostre preferenze, fantasie, evocazioni che emergono inconsapevolmente dalle opere interiorizzate dei grandi fotografi del passato.
Le nostre opinioni sono molto condizionate dalla conoscenza delle pubblicazioni "pubblicitarie" del settore del "beauty" che a partire dagli anni '70 hanno riempito le pagine delle riviste di moda , di tendenza, e che hanno fornito reddito ai grandi fotografi di nudo, oggi queste immagini rimangono scolpite indelebilmente per il loro dirompente messaggio innovativo, mentre le campagne pubblicitarie dei famosi Brand di consumo, che le hanno indotte, sono relegate dal tempo ad eventi sbiaditi e dimenticati .
Chi ha la mia veneranda età trova naturale far coincidere il lavoro pubblicitario, anche dei giornali commerciali, con l'arte fotografica: fotografie dei grandi Jean. Loup Sieff o Helmut Newton o Richard Avedon, sono diventate parte del nostro immaginario.
Tuttavia tale impressione di facile e naturale coincidenza non è suffragata dalla storia che ben presto screma ferocemente e oblia la gran parte dei lavori privi di libertà d'azione, di cultura, di personalità, di ispirazione, farciti di immagini scontate che indulgono ai canoni codificati commercialmente anche facilmente indotti dall'atteggiamento di maniera dei modelli professionisti.
Distinguere l'estetica imposta commercialmente da quella di ricerca resta molto difficile, tanto gli attori interferiscono fra loro, tuttavia nelle mostre, nei portfolio, nei cataloghi, nelle pubblicazioni commerciali, e non solo nelle ricerche personali, mi pare importante che l'artista esprima il proprio immaginario erotico che, tramite il corpo e gli atteggiamenti delle modelle e dei modelli, emerge in tutta la sua impronta ossessiva.
Ho visto foto di nudo di grande purezza contemplativa ed ascetica, come un paesaggio vivente, ho visto il corpo al centro di una sequenza di oggetti raffinati come facente parte di un indifferenziato elenco di componenti feticiste, ho visto il nudo come un urlo di denuncia scandalosa e pornografica curata con una formalità struggente, ho visto il nudo inserito in una anatomia di interni o di esterni dove lo sguardo rimbalza infinitamente in un interrogativo senza risposta fra architettura (o paesaggio) e membra umane uniformando in un'unica gerarchia il materiale vivente e quello minerale, ho visto il nudo come grottesca metafora della insostenibile pesantezza del vivere, che emana un odore claustrofobico di decomposizione, impietoso, goffo e dissoluto come la vita, visto sadicamente e pietosamente al tempo stesso, ma da cui sboccia un sentimento di riscatto e di purificazione.
Quando ci si imbatte nelle foto di Luca Rubbi tutto questo bagaglio di preconcetti viene scardinato, ci si sente immediatamente a disagio, rovesciati, con tutte le nostre idee sparse disordinatamente sul pavimento. Nel mio caso lo sconcerto è stato totale, e molto lentamente ho cominciato a metabolizzare queste immagini a volte stranamente e apparentemente banali, disarmoniche, ingenue, dove mi era difficile rintracciare il gesto distintivo del fotografo, la sua firma.
Infatti la sua fotografia non è creativa ma di ricerca, non è composta secondo un progetto, ma trovata afferrata, carpita, rintracciata e poi selezionata.
Ecco qui sta il punto: il suo lavoro rientra più nella selezione che nella composizione, nel rintracciare i segni più significativi, gli equilibri, le armonie o disarmonie interessanti, presenti maggiormente in uno scatto anziché in un altro.
Il suo è un reportage di nudo dove l'energia vitale scorre nelle vene e nei nervi del soggetto, dove il risultato è quello che il destino, il caso, gli consegna, e che poi ci presenta filtrato da una selezione faticosa e qualificante: una fotografia dinamica, dove il sangue, i respiri, i pensieri le emozioni scorrono senza soluzione di continuità, un erotismo della porta accanto molto reale nei sapori e negli odori, che si presenta assolutamente inaspettato e sconveniente come nella vita vera.
 A mio parere la fotografia fra le arti visive è quella che maggiormente ha il compito di documentare l'attimo "che fugge via", l'interpretazione consiste nel fermare quelle emozioni e non altre.
Come la fotografia non è seconda ad altre arti visive più "creative" così non dobbiamo pensare che il trovare sia un'operazione sminuente rispetto al creare, perché tutto è sempre avvolto da un velo di illusione attraverso il quale, di tanto in tanto, troviamo uno squarcio di stupore.
Ebbene se la fotografia è l'arte per eccellenza della interpretazione visiva della realtà, Luca è un fotografo assoluto; il vivere ossessivamente con la fotocamera sottobraccio in tutte le situazioni quotidiane lo ripaga di risultati stupefacenti in fatto di documentazione di ogni alito di vita, in tutta la sua grandiosa, banale, fuggevole interezza.
Il mutare continuo del respiro della vita, in modo così prevedibile ed imprevisto, passa davanti ai nostri occhi stanchi e distratti in modo inosservato, informe, inutile, tuttavia lascia un tracciato inconscio il cui disvelamento crea stupore: questo è il compito di Luca!… e forse di ogni fotografo.
Quello che mi ha costretto ad un lungo apprendistato alla sua fotografia di nudo è il fatto di non vedere mai un mondo erotico univoco e pertanto perfetto e monotono, come un messaggio che si esaurisca con la vita stessa del fotografo, dove la modella è la materia da …modellare, il principio unico di differenziazione di una visione ideale inalterabile, ma bensì di vedere le modelle come attrici che interpretano la propria vita, che comunicano il proprio messaggio e che spesso mi lasciano interdetto, infastidito, imbarazzato, stupito, e sempre arricchito.
Luca gioca da abile regista sul fatto che la spontaneità delle modelle non professioniste stravolga completamente i canoni codificati del nudo commerciale e accentua la cosa in fase di laboriosa selezione.
Questa è la vita che le donne interpretano nel modo pratico e diretto come sanno fare, lontana anni siderali sia dalla vita virtuale e patinata della stampa di moda sia dalle nostre idee macchinose e congelate in tempi di posa troppo lenti per poterla afferrare.
Questa fotografia è, perché deve essere, argentica, per storicizzare un contenuto finito e concreto, dove ogni fotogramma è il risultato di un integrale di infiniti istanti materializzati che scorrono in un rivolo casuale e fatale compiuto e non ripetibile.
Come ultima considerazione devo sottolineare la bravura e la sensibilità di Luca, capace di creare un'atmosfera rassicurante che permetta alle modelle di esibire e interpretare con grande spontaneità il loro mondo più intimo e indifeso. Gli sguardi sono sempre intensi, dignitosi, raccontano il proprio tempo, le proprie fantasie, speranze, delusioni, il proprio carattere.
A riguardo mi permetto, parafrasando Francois Truffaut, il più romantico regista della Nouvelle Vague, di dire che Luca è "il fotografo che ama le donne".

Mario Andreoli







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